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La Lunga Corsa - II

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La testa ed il corpo erano già svegli da alcuni minuti eppure le palpebre rimanevano incollate e non volevano saperne di aprirsi.

L'aria del mattino penetrava dalla finestra socchiusa, fresca ed impregnata dal profumo dell'oceano faceva fluttuare svogliatamente le sottili tende azzurre. Cercò di muovere le gambe e le sentì rispondere di malavoglia, rigide e doloranti per via dei muscoli ancora invasi dall'acido lattico; era quel dolore intenso ma quasi piacevole che sentiva il giorno seguente ad una lunga corsa. Scandagliando con la mente le estremità del suo corpo percepì la scarpe allacciate strettamente ai piedi; tentò di muovere le dita e no, i piedi erano liberi, ma se li teneva fermi dopo pochi secondi aveva di nuovo quella strana sensazione di indossare ancora le scarpette da corsa.

Le lenzuola erano ben distese come se avesse dormito immobile e sentiva sulla pelle l'odore della strada e della fatica, seppure avesse fatto la doccia prima di coricarsi.

L'odore della strada e quello dei suoi ricordi. Immaginò che si somigliavano (i ricordi e la strada), entrambi nitidi e facilmente percettibili nell'intorno immediato, per perdersi alle sue spalle in una lunga striscia sempre più sottile ed evanescente, fino a precipitare nel buco nero dell'oblio. Intuì che i suoi ricordi remoti, pure quelli più brutti, riaffioravano modificati, un po' magici, un po' dolci, con quell'aurea da antica cartolina come illuminati alla luce morbida di una candela; allo stesso modo le passate fatiche su quelle strade dove aveva dovuto stringere i denti per non fermarsi e sopprimere la fatica con la volontà ed imporsi sul corpo che urlava "basta!", oggi le evocavano sensazioni piacevoli e le riviveva come momenti di insensata bellezza.

Come erano emerse quelle strambe considerazioni, quando? Quando si corre si pensa, ed anche questa volta era penetrata dentro sé stessa come in una grotta sconosciuta, un intrepido cercatore d'oro armato solo della lampada a petrolio e del piccone; forse questo stato estatico era provocato dall'effetto psicotropo della mancanza di ossigeno, dal mantra dei balzelli sinusoidali sempre uguali, come una culla che dondola nel vuoto. Quanto si era immersa nella profondità della sua anima? Appena sotto la pelle? Forse fin dentro ai suoi muscoli e nervi? Oppure aveva scavato nel profondo delle sua ossa, fin dentro il midollo? Aveva trovato l'oro? Non avrebbe saputo rispondere, queste esplorazioni nel proprio io non erano vissute consciamente, piuttosto erano una sorta di sogni ad occhi aperti. Talvolta si riscuoteva repentinamente da questo torpore e si accorgeva di aver percorso lunghi tratti, persino chilometri, senza nemmeno averne la percezione, lunghi tratti di strada della quale non ricordava un singolo momento. Come la vita: periodi dei quali ogni più insignificante evento era scolpito nella memoria nitidamente, senza ombre o sfumature opache, come un cristallo di diamante, invece altri si perdevano nel nulla senza lasciare traccia, momenti non vissuti di cui non sapeva nemmeno quantificarne la durata, ore, giorni o magari anni.

É Domenica. Bisogna alzarsi, sarà già tardi. Allunga il braccio e tasta il letto di fianco a lei, trova solo il telefonino abbandonato lì quando si era addormentata all'improvviso mentre scorreva i messaggi non ancora letti.

E gli occhi si riaprirono, le parve di sentirne il rumore, come uno schiocco di lingua. Una lama di luce penetrava netta e sfavillante e come una ghigliottina tagliava la stanza a metà; da una parte ciò che è inciso nella memoria e dall'altra quella che fu realtà ma ormai non è più nulla, cancellata dalla sabbia del tempo.

É Domenica, si solleva seduta sul letto e sorride. Si alza, apre la finestra e guarda la spiaggia deserta. Dopo pochi minuti è già lì seduta sulla sabbia, contemplando le nuvole nere all'orizzonte, appese nel celeste uniforme del cielo; non cambiano forma e posizione. I granchi nascosti sotto i ciottoli sono impietriti e i gabbiani appaiono inchiodati sulla placca verdastra del mare solido e piatto come una lastra di marmo. Nessuno osa disturbare il silenzio perfetto, e si direbbe che nemmeno il suono si possa propagare in quel fotogramma cristallizzato.

Sta seduta sulla sabbia fredda, ammirando il fermo immagine del mondo che ha smesso di funzionare, senza che i sensi possano essere distratti da rumori, immagini o profumi diversi da quelli che si sono scolpiti in quell'interminabile attimo.

La lunga corsa è finita … fino alla prossima volta.

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