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Il Dolore

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"Anche se ti fa paura, non ignorare l'abisso del tuo dolore."
[Anselm Grün]

Il dolore. Perché temiamo, evitiamo il dolore? Invece quanto è importante accoglierlo,
metabolizzarlo, pensarlo ... sentirlo. Sentirlo in tutta la sua violenza.
Del resto conduceva una vita comoda. Che bella casa aveva, quante cose nella casa: tutto ciò che si
potesse desiderare e anche qualcosa di più; la sua bella macchina e il suo hobby favorito. Si, tutte le
Domeniche erano dedicate al suo hobby preferito, per niente al mondo avrebbe rinunciato alla sua
Domenica.
Se ne stava comodamente sul divano a guardare la televisione e al suo fianco c'era la sua dolce
metà. Improvvisamente gli venne una voglia irrefrenabile.
“Ehi! Che ne dici di un po' di gelato?”
Uno sguardo assente fu la risposta e il braccio che portò l'ennesima sigaretta alla bocca la conferma.
Tuttavia si alzò e andò in cucina. Si abbassò per prendere dall'armadietto una tazza e si rialzò
troppo velocemente, urtando con violenza contro lo spigolo dell'anta superiore lasciata aperta. Non
riuscì nemmeno ad emettere un suono tanto fu lancinante il dolore che provò, proprio al centro
dell'osso occipitale. Voleva imprecare ma la voce era come imprigionata nella trachea da un cappio
di acciaio che stringeva la gola. Si portò istintivamente una mano sul punto dell'impatto ed iniziò a
massaggiare energicamente. Sentì le dita bagnarsi di un liquido caldo e si guardò la mano: il suo
sangue rosso, vellutato, così affascinante ... restò immobile a contemplarlo mentre sentiva il fluido
denso scendere lungo il collo, come una colata di miele tiepido.
Poi volse lo sguardo là dove c'era la televisione accesa e vide lo stesso volto inespressivo
illuminato dalla luce azzurrognola; sentì il solito silenzio che c'era tra loro due, soltanto la sigaretta
era un'altra.
Come il flash di un lampo nella notte, che illumina per un istante il cielo concavo e il mondo opaco
che langue sotto di esso, un raggio di luce bianca e abbagliante attraversò il suo emisfero celebrale e
la mente ebbe un sussulto di lucidità, un frammento di consapevolezza. Il dolore aveva permesso
alla sua rabbia di affiorare ed ora galleggiava [la rabbia] di fronte ai suoi occhi ... una nuvola d'ira.
Poi chiuse quegli occhi.
- Non sottovalutare il dolore - , si disse. E respirò il bruciore della ferita, il pulsare dell'ematoma,
l'odore dolciastro del sangue. Aprì il frigorifero e prese un cubetto di ghiaccio; se lo premette sulla
ferita fino a quando il gelo non diventò insopportabile; poi iniziò a succhiarlo. E' buono il mio
sangue. Si pulì le dita della mano leccandosele, come un gatto. Ruotò nuovamente gli occhi verso la
stanza della televisione e vide il braccio tendersi verso il posacenere e spegnare la sigaretta.
“Accendine un'altra e ti rompo tutte le ossa che hai in corpo” mormorò.
La scintilla dell'accendino, la fiamma blu e arancione per qualche secondo, e infine il rosso del
tabacco che ardeva e uno sbuffo di fumo da quella bocca amara di nicotina.
E fu così che emerse dal rifugio più recondito della sua anima tutto ciò che aveva represso, come
una eruzione vulcanica.
Si morse violentemente, da farsi male, dove prima la lingua stava facendo il suo lavoro di pulizia
- Dolore curami, dammi la forza, dammi il coraggio - eruttava furore.
Osservò la luce della luna piena estiva fuori dalla finestra che copriva il giardino di una patina
argentea surreale e si accorse di odiare tutto quello che aveva, il carcere in cui si trovava e che
aveva eretto da sé senza rendersene conto. Fiori e piante trasformate in grigie sculture di acciaio,
l'erba un pavimento di freddo granito, le ombre nere dai contorni netti e taglienti su quello sfondo
senza colore. E il silenzio surreale.
Ora era evidente: possedere senza poter condividere è peggio che non avere nulla. Solo la follia
dell'avarizia trova conforto nel semplice accumulo delle cose senza il bisogno di qualcuno con cui
goderne.
Ora era necessario che anche un'altra persona iniziasse a capire.
Prese un coltello, il più grosso e meglio affilato, si recise con due secche sciabolate le quattro vene
dei polsi e, lasciando una traccia rossa e scintillante, ritornò verso la sala della televisione.
Senza portare il gelato.

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