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Luce

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Macchie di neve sui tetti bassi sotto la mia finestra.
Brandelli di vita umana e meccanica strappati via dal tempo appaiono e scompaiono sullo sfondo dell'asfalto lucido e sul marciapiede chiazzato di pozzanghere e mozziconi di sigarette morte.

Colori tutti uguali, uguali al cielo di acciaio sopra e all'umido catrame sotto.
Un lampione mi guarda con l'occhio del ciclope ancora spento nella luce monocromatica del breve pomeriggio invernale, mentre dall'autobus scende un rivolo di umani che si avviano in processione ondeggiando e scomparendo inghiottiti da avide fauci aperte sulle facce dei palazzi o dispersi dietro l'ultimo muro che delimita il mio piccolo orizzonte. E poi più nulla: attimi di silenzio e solitudine, poi il rumore di gomme che rotolano veloci, un'automobile nera entra nel campo visivo e subito ne esce perdendosi nel mistero.
Mi guardo le mani e non le riconosco, le mani sulla faccia, i gomiti sul piano della scrivania, la schiena curva; un rosario infinito sgrana voci che arrivano e si sostituiscono sempre diverse per riprendere la stessa litania da dove era finita, componendo una sinusoide lamentosa inframezzata da improvvisi lamenti di sirene lontane o canti lugubri di uccelli tristi.
Era tutto in ordine, ogni cosa al suo posto. Lo potevo intuire, toccare. Tutto era dove doveva essere, il mio mondo era ordinato e nel buio allungavo una mano e afferravo ciò che volevo, perché sapevo esattamente il posto di ogni cosa. Non brancolavo ma scivolavo agilmente nel mio spazio tenebroso senza dubbi o paure.
Poi è la luce è esplosa: il big-bang della mia vita nell'ombra.
E mi sono guardato in giro ... polvere, polvere dappertutto. E crepe nei muri, macchie di muffa sulle pareti che credevo immacolate, mobili sghembi e pavimento sporco.
Chi ha acceso la luce? Cazzo! Chi ha acceso la luce?

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