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Due Bambini

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La macchiolina che si confondeva con il grigio dell'asfalto diventava sempre più grande mentre si avvicinava. Lentamente emerse una bicicletta e sopra la bicicletta un bambino che pedalava di gran fretta.

Il bambino fece trionfalmente ingresso nel parchetto deserto sfrecciando lungo la stradina di ghiaia e inchiodò davanti all'unica panchina in ombra, esibendosi in un acrobatico testa-coda con gran sollevamento polvere; lasciò cadere il mezzo e si appollaiò sedendosi sullo schienale. Era un caldo primo pomeriggio sotto il solleone. Il bambino valutò la ferraglia che giaceva di fronte a lui: macchie di ruggine, il freno davanti divelto, fanalini estirpati e gomme sgonfie.
“Una bella bicicletta”, pensò, “una delle più belle del quartiere. No, indubbiamente la più bella”.
Si lasciò scivolare sulla seduta della panchina e rimase supino osservando il cielo tra le foglie degli alberi che frusciavano solleticati dal caldo alito di una brezza appena percettibile. Rare nuvole bianche e paffute si muovevano lentamente andandosi a spegnere all'orizzonte, dopo un cammino interminabile, nel lontano vapore liquido provocato dall'afa. Le cicale frinivano, chissà quante ce n'erano, mentre - singolare per un bambino simpatico, vivace e con una bicicletta così bella - lui si trovava lì da solo. Perché gli sembrava che tutti lo evitassero? Forse era a causa della sua strana malattia, ma a lui sembrava in fondo una cosa simpatica: a volte viveva in un mondo suo, solo suo, e nessun altro ci poteva entrare ... che c'era di male? E le cose che vedeva poteva giurare che esistevano veramente ... improvvisamente le cicale zittirono, udì un lontano rumore di ruote sulla ghiaia, si mise a seduto e osservò qualcuno avvicinarsi. Si domandò infastidito chi osasse disturbare lui e le cicale. Lentamente presero forma, sullo sfondo verde degli alberi, un'altra bicicletta e una bambina. Non una bambina qualunque, era la bambina! Il bambino estrasse svelto un piccolo libro dalle enormi tasche dei suoi jeans extra large e si diede un'aria seriosa, quella di un bambino molto intelligente impegnato a leggere.
Finse di non accorgersi che lei si era fermata proprio di fronte a lui, e tenne gli occhi fissi sulla pagina aperta e dondolando le gambe.
“Ciao M”. Il bambino alzò gli occhi, la guardò fingendo sorpresa.
“Ciao C, non ti avevo vista”
“Cosa stai facendo?” domandò la bambina.
“Sto leggendo un libro, parla di due bambini che una notte volano via e vivono un'avventura fantastica”
“I bambini non volano!” esclamò C ridendo “soltanto un matto come te ci può credere. Sei sempre il solito! Però mi fai ridere ...”
“Invece io ho volato tantissime volte, però sempre da solo” rispose M crucciato. Poi aggiunse:
“Perché non vieni con me, andiamo allo stagno, ci sono i girini e le rane, gli emitteri le sialidi, le sisiridi, i tricotteri, i ditteri e ...”
La bambina scoppiò a ridere.
“Ma come parli!? Sei proprio buffo! No, non posso, sono stata invitata in piscina da L”
“Da L? Quel bambino pancione e antipatico? Ma se non è neppure capace di andare in bicicletta! E' capace solo di mangiare e non ride mai ...”
“Mi sta aspettando, devo andare ...”
Il bambino prese un pezzo di legno da terra e lo gettò lontano stizzito. Stava quasi per piangere quando vide un vecchio cane buffissimo, tutto nero, correre verso il legnetto. Lo bloccò con le zampe, lo prese in bocca e lo riportò indietro scodinzolando. C e M si misero e ridere. Pieno di risorse M fece passare velocemente dalle tasche alla mano un pezzo di corda rossa. Iniziarono a giocare con il nuovo amico, facendosi rubare la corda dal cagnolino e rincorrendolo per il prato. I tre saltellarono qua e là per un po', poi si arresero al caldo e si sedettero all'ombra. M legò il pezzo di corda al braccio di C:
“Non ti libererò mai più! Ora sei la mia prigioniera! Perché non andiamo a casa mia? Ho la limonata in frigo e possiamo giocare ...”
C si rotolò per terra e si liberò divertita mentre il buffo cane rubò la corda rossa e fuggì zompettando allegramente. C si alzò in piedi e disse:
“Mi piacerebbe, ma non posso. Ora devo andare, è tardissimo.”
La bambina riprese a pedalare sulla ghiaia e si allontanò. M. risalì sul suo bolide e prese lentamente via verso casa, seguendo da lontano C fino alla grande villa del bambino grasso. Lei girò a destra, arrancando lungo il vialetto della enorme tenuta, lui si diresse verso l'ingresso del vecchio palazzo che si trovava proprio di fronte sulla sinistra. L'ascensore era rotto, come il solito, quindi si issò contando i gradini fino al quinto piano. L'ultimo. Si tuffò sul letto e si guardò intorno. Non aveva soltanto la bici più bella del quartiere, ma anche la cameretta più bella. Sulla scrivania erano ammassati tutti i giochi, i suoi libri erano un po' ovunque tranne che sulla libreria e il computer era acceso. Dalla finestra poteva immaginare C che si tuffava nell'acqua azzurra della piscina nascosta dietro gli alberi del parco. C'era un silenzio magico. Si domandò come C potesse preferire un pomeriggio con quel bambino antipatico e stupido alla sua cameretta. Intuì che forse aveva qualcosa a che fare con la villa, il parco e la piscina ... ma fu solo un lampo, poi la immaginò annoiata e pentita di non aver scelto di stare con lui.
L se ne stava costantemente seduto sotto un enorme ombrellone, con una lattina di coca in una mano e pescando dolcetti da un enorme sacchetto colorato con l'altra. Raccoglieva dal prato dei piccoli fiori colorati, C, e ogni tanto lanciava un'occhiata a L che sembrava diventare ogni minuto più grasso. La bambina si stava effettivamente annoiando. Si avvicinò pigramente al tavolo su cui era posato un piccolo frigorifero portatile, vide all'interno una boccia riempita di limonata ghiacciata. Le tornò in mente l'invito di M ed iniziò a pensare che aveva fatto male a rifiutarlo: M sapeva essere un bambino simpatico e pieno di idee per divertirsi. Ne bevve un lungo sorso, avidamente, poi si avvicinò all'acqua fresca della vasca a si tuffò goffamente. Pochi attimi dopo sentì le gambe irrigidirsi e gli sembrò di diventare pesantissima, come un blocco di cemento. Iniziò ad affondare, sempre più giù. Si sorprese di non essere spaventata, anzi, osservò divertita le bollicine d'aria che fuggivano della sua bocca risalendo veloci in superficie. Poi la luce azzurra del sole si spense improvvisamente e non ci fu più nulla.
Intanto M si era addormentato e non sentì il suono della sirena dell'ambulanza che correva alla mega villa. Il bambino si svegliò che era già buio, aveva una gran sete. Andò in cucina e prese un bicchiere di limonata gelata. Bevve in un sorso. Poi fu attratto da uno strano bagliore proveniente dalla finestra che dava sulla strada che separava il palazzo dalla tenuta dove L abitava. Si sporse e vide la bambina sorridente sospesa su una bianca nuvola.
“Ciao C cosa ci fai lì?” le chiese.
“Sono venuta a trovarti! Sai, avevi ragione tu, mi annoiavo con L, tu sei più simpatico”
Poi aggiunse:
“Perché non vieni con me? Avevi ragione, forse possiamo volare insieme!”
Il bambino sorrise, i sogni non sono solo sogni, sono la verità!
“aspettami!” le disse. Corse in cucina e prese la bottiglia della limonata. Ritornò con il cuore che gli scoppiava di gioia e scavalcò il davanzale per raggiungerla: diventeremo molto amici, le disse gioiosamente. E volò, volò con C.
La mattina una piccola folla di curiosi si era ammassata sulla strada che separava la mega villa dal palazzo popolare, guardando ora attraverso la siepe che cingeva la tenuta per cercare di scorgere la tragica piscina, ora sollevando lo sguardo verso la finestra da cui era precipitato il bambino. Una donna stava piangendo aggrappata al marito:
“Che crudeltà, due bambini così belli, in poche ore, uno dopo l'altro, nello stesso posto ... si assomigliavano ... ecco, erano proprio uguali ...”
Intanto le nuvole erano tornate dall'orizzonte, solo un po' più scure, e una pioggia calda e sottile iniziò a cadere, disperdendo velocemente le persone.
Un vecchio cane nero trotterellava sulla strada, pensò che appena smesso di piovere avrebbe fatto una passeggiata al parco; magari c'erano ancora quei due bambini così simpatici. Aveva in bocca la corda rossa con la quale C e M si erano legati insieme. La portava sempre con sé. Andò a ripararsi sotto la tettoia dell'ingesso. Si accucciò, sbadigliò, guardò la corda afflosciata di fronte a lui, fece un sospiro profondo e si addormentò cullato dal rumore delle gocce che si infrangevano sopra il suo riparo in laminato metallico.

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