Mi incanto a guardare la lancetta dei secondi che scorre a piccoli balzi sullo sfondo bianco del grande orologio. Sessanta passi per tornare là da dove è venuta e ricominciare di nuovo. Nel silenzio si ode solo la sua voce lamentosa che ripete l'eterno mantra: "tic-tac".
E il tempo non scorre se lo guardi, tutto si ferma, tranne quel braccio sottile che singhiozza faticosamente trascinando con sé il peso dell'eternità mentre i minuti e le ore riposano immobili.
Domani sarà sempre lei, la stessa lancetta, a misurare ciò che non ha dimensione, ingannandoci con la menzogna del tempo che passa; il tempo è fermo e non terminerà mentre io cammino a grandi passi verso il nulla, dimenticandomi troppo spesso di quanto il mio percorso sia perfido. Nessun ritorno sarà possibile, l'orizzonte goniometrico è prerogativa della lancetta dei secondi, nel mio universo rettilineo quello che lascio per strada è perduto per sempre.
Ma il tempo non esiste e "sempre" è la contraddizione che emerge dalla negazione di questo assioma: ed allora ti ritroverò laggiù alla fine del mio viaggio, dove non c'è più niente.