Canone a due voci

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Mi dicono che rimarrò solo, per sempre. Io sorrido perché so' che non è così: ci sarà sempre Lei vicino a me, nella buona e nella cattiva sorte: la Solitudine.”

[M. Salieri]

 

1. Prima voce – Grave, Lento accelerando

La stanza era in penombra, appena illuminata dai bagliori rossi e arancioni della stufa, i miei attrezzi di lavoro – penna, taccuino e una lampada a petrolio - erano sparsi sul pavimento sotto di me ed io ero sdraiato sul vecchio divano a contemplare il soffitto che vedevo a malapena. Stavo semplicemente facendo quello che faccio da anni, praticamente ogni sera.

Mi ero arenato in una catapecchia circondata da un prato di erba stopposa e da radi alberi stentorei, fuori città, in un posto disabitato e poco frequentato, come un relitto incastrato tra gli scogli dopo una violenta tempesta. Non si impara a convivere con la solitudine, nemmeno la si accetta, semplicemente ci si dimentica della sua compagnia. Mi piaceva fingere di aver trovato finalmente pace e serenità, ma in realtà ero in fuga da un mondo che non capivo, respinto dall'unica donna che avrei voluto vicina.

Il tempo scorreva lento abbastanza da consentirmi di trovare qualche istante per fare qualcosa di diverso dal niente: scrivere. Talvolta mi sembrava di scoprire delle grandi verità e di aver finalmente capito il meccanismo che si cela dietro la follia degli uomini e come un pazzo cominciavo a scrivere, temendo di lasciarmi sfuggire quelle splendide intuizioni. Ma bastava rileggere il giorno dopo per convincermi che era carta buona solo per riattizzare la stufa.

Bene, quella sera meditavo intorno ad un'idea originale alquanto. La vita è un fiume! Certo, niente di più stantio di una metafora del genere ma in quel preciso momento ero sinceramente convinto di aver avuto una geniale folgorazione. Galleggiamo sulla superficie di un fiume lento e melmoso, dalle acque torbide e fredde, senza rive a cui aggrapparsi. E poi ci sono le correnti.

Quelle buone che ti portano in piccole oasi dove riposare in acque limpide e profumate, dove le rive sono lussureggianti di fiori e di piante, dove illudersi di aver trovato un poco di felicità.

Quelle cattive ti rapiscono subdole e scivoli via; quando te ne accorgi basterebbe una bracciata vigorosa per sfuggire ma non sai se la corrente è quella buona o quella cattiva … ed aspetti ed inizi a girare in un vortice; più tardi riconosci di essere in pericolo più difficile è eludere il mulinello che ti trascina con sé, finché arriverà un momento in cui non ci saranno più forze sufficienti per sfuggire, potrai dimenarti e affannarti allo stremo ma verrai risucchiato inevitabilmente.

Il trucco della vita è essere un buon navigatore di fiume, capire le correnti e riconoscere i tranelli delle acque.

Mi riscossi improvvisamente da questo superbo ragionare, come colpito da un ceffone. Riconobbi che non mi sarei mai staccato da terra, non avevo le ali, ero un pollo che cercava di imitare le aquile (chiedo umilmente al lettore giunto fino a qui di non ironizzare neppure su questa raffinata ed originale iperbole).

Mi alzai e uscii a respirare l'aria gelida di una sera di mezzo inverno. Appena fuori dimenticai immediatamente quelle farneticazioni e camminai verso la statale che porta in città, colpito da violente sferzate di un vento che si era alzato giusto dopo di me. Destino, fato, caso o piano divino, vedetela come vi pare, ma un flusso di acqua mi prese per mano e mi portò verso la fermata dell'autobus, un posto che solitamente evitavo per non inciampare nella traiettoria di qualche essere umano. E la vidi. Una figura gracile e fragile, aggrappata all'unico lampione presente su quel tratto di strada come se cercasse di non essere trascinata via dal vento. La debole luce giallastra le dipingeva i capelli candidi di un colore malato e nascondeva i segni dell'età di una donna antica. Mi avvicinai e quando le fui accanto la vecchia mi guardò con degli occhi celesti e miracolosamente illesi dalle pugnalate della vita. Due occhi giovani e luminosi.

2. Seconda voce – Largo

Lo odio, con tutta la forza che ho. Odio andare a fare acquisti, odio fare regali perché sono obbligata. Odio il Natale e le falsità con cui è ricamato: falsi sorrisi, falsa felicità, falsa bontà. Domani torneremo quello che eravamo, belve pronte a sbranarsi. Ed io me ne sto qui ad impacchettare strenne e scrivere bigliettini che nessuno leggerà. Lo odio. Perlomeno c'è poca gente, ho scelto il locale giusto, non ho nessuna voglia di rumore, confusione e tanto meno che qualcuno mi rivolga la parola.

Legai l'ultimo nastrino colorato componendo un fiocco enorme, rimisi la scatola nel saccone ricolmo che avevo ai piedi e finalmente presi il bicchiere cercando di rilassarmi.

Non so se a causa dell'alcool o se fosse il tepore confortevole di quel luogo ma tutto intorno a me prese il ritmo di un film al rallentatore. Gli ultimi avventori si alzavano di malavoglia e si infilavano cappotti e giacconi con movimenti lenti e misurati, si piazzavano in testa orribili cappelli e si avvolgevano in sciarpe chilometriche. Poi si dirigevano verso la cassa, pagavano rovistando in tasche che parevano senza fondo alla ricerca delle ultime monetine da spendere e silenziosamente, come in una processione, se ne uscivano lasciando entrare uno sbuffo d'aria fredda aprendo la porta. I tavoli si svuotavano lentamente.

All'improvviso, come un salmone controcorrente entrò lui. Il semplice fatto che attraversasse la porta dal lato opposto dalla quale la attraversavano gli altri me lo rese subito simpatico. Sembrava indeciso, come se non sapesse bene cosa fare. Chiese qualcosa al barista il quale rispose con un cenno di assenso e gli indicò vagamente i tavoli vuoti di fronte a lui. Si sedette proprio a quello che stava di fianco al mio, senza levarsi nemmeno la berretta che non mi sembrò terribile come le altre, solamente buffa. Dopo pochi secondi la ragazza che serviva gli pose una caraffa di birra di fronte e lui la guardò come sorpreso, sollevò il bicchiere, lo scrutò controluce e ne assaporò un lungo sorso. Poi ripose la caraffa sul tavolo, per poi bere di tanto in tanto, senza mai alzare lo sguardo. Non so perché ma mi venne una voglia irrefrenabile di parlargli, di conoscerlo. Avrei voluto attirare la sua attenzione. Mi dava la sensazione di essere un tipo semplice e sincero, qualcosa di diverso dalla umanità che si incrocia solitamente.

Il nostro futuro è già scritto sul grande libro vergato da una qualche divinità? Non lo so, di certo le cose succedono senza nessun apparente motivo, pare soltanto per farti esclamare dopo che sono accadute: dio mio quanto sono stata miope! E quanto sono banali a volte gli episodi che poi feriscono l'anima con segni così profondi.

Lasciai che lo sguardo ritornasse al mio bicchiere e lo vidi completamente vuoto. Fu così che mi alzai per andarmene, presi il sacco tra le mani e feci per andare a pagare: mi ero già dimenticata di quello strano personaggio. Male! Perché mentre cercavo di rovistare la borsetta con la mano libera in cerca del denaro gli passai accanto e decisi - sì proprio lì lo decisi - di buttarmi il sacco sulle spalle per essere più comoda. Feci un movimento maldestro rovesciando la birra che stava sul suo tavolo.

Stavo già aspettando di essere colpita da una scarica di improperi e accennai a chiedere scusa quando mi accorsi che mi guardava tranquillamente. Tranquillo e sorridente, quasi gli avessi fatto una cortesia, tenendo alzata la tovaglietta di fronte a lui per non farsi colare la bevanda sui pantaloni. Rimisi in piedi il bicchiere e cercai di asciugare alla bell'e meglio con dei tovagliolini di carta. Mi offersi di ordinare un'altra birra e la risposta fu disarmante:
“Se ne ordini due va bene”.

Mi slacciai la giacca e mi misi a sedere di fronte a lui. Ricordo che la prima frase che mi disse fu per me assolutamente incomprensibile:
“Di sicuro questa è una corrente buona”.

3 – Prima voce – Andante Tranquillo

“Tutto bene?”

Non aggiunsi niente altro. Con il tempo avevo imparato a non sprecare le parole. Anzi, spesso è meglio tacere, tanto nessuno ti capirà se non lo vuole fare. Ognuno parla nella propria lingua. Viviamo una vita fatta di incomprensioni e di paure in una babele planetaria. E di me la gente ha molta paura, come ne ha di un lupo affamato: e per quale altro motivo sono sempre stato scacciato quando ho osato ad avvicinarmi a chi ho voluto bene? Per questo alla mia domanda seguì un tentativo di sorriso.

Bè, forse il sorriso venne bene perché anche la vecchia ne abbozzò uno.
“Va tutto bene giovanotto, grazie. Sto aspettando l'autobus per rientrare in città e questo vento mi porta via. Spero solo di non dover attendere troppo tempo, alla mia età questo freddo è micidiale.”

“Troppo a lungo? No, spero di no.”

Cercai allora di leggere la locandina con gli orari e vidi quello che in effetti mi aspettavo: l'ultima corsa era già passata da un pezzo.

“Non so come dirglielo, signora, ma credo che stia attendendo invano: il prossimo sarà quello di domattina. Forse può telefonare a qualcuno chiedendo di venirla a prendere”

La donna cambiò espressione.

“Ed ora che faccio? Io non ho un telefono.”

Mi guardò speranzosa. Ma dovetti deluderla poiché nemmeno io ne avevo uno. E cosa se ne fa di un telefono un emarginato? Stavo lanciandomi in un volo pindarico di elucubrazioni a proposito della inutilità di comunicare, quando mi venne un'idea che avrei dovuto rifiutare appena affiorata. Ma si sa, non sono mai stato un buon navigatore di fiume.

Pensai a G, l'unica persona che mi capitava di vedere di tanto in tanto e con la quale era sorta una specie di amicizia basata sullo scambio di favori. Spesso mi prestava la sua automobile quando era necessario fare delle compere ed io lo ricambiavo aiutandolo a sistemare faccende domestiche. G era molto anziano e da solo non ce la faceva.

Ecco cosa successe: proposi all'anziana signora di andare chiedere l'automobile in prestito, G non abitava lontano, e poi l'avrei accompagnata a casa. Se vi è mai capitato di voler vedere un viso che esprimesse gratitudine, avreste dovuto vedere quello della vecchia: si aggrappò al mio braccio e ci incamminammo lungo il breve percorso. Ovviamente G fu felice di darmi le chiavi della sua automobile, nemmeno lui si rese conto del pericolo che stavo correndo.

Guidai in silenzio, interrotto soltanto dalle indicazioni della vecchia, e in pochi minuti ci trovammo in centro città. Lasciai il mezzo in un parcheggio di fronte all'ingresso della zona pedonale, all'interno della quale lei viveva e mi offersi di accompagnarla. Lo feci volentieri in quanto a quell'ora tarda c'era poca gente in giro e ce ne sarebbe stata sempre meno e sentivo ancora il bisogno di camminare. Mi pareva di essere un boy-scout fuori età mentre percorrevo il viale con quella donna a braccetto. Quando arrivò alla porta di casa non si lasciò andare in eccessivi ringraziamenti, e questo mi fece piacere. Si limitò a dire:
“Lei è proprio un bravo giovanotto, grazie di cuore”
Quello che mi sorprese fu uno sguardo che mi lanciò entrando in casa, come a volermi avvertire di qualche pericolo, come se sapesse qualcosa di me.

Ripresi a camminare lungo il viale e qui la corrente divenne più forte: appiccicata dal vento ad una rete metallica che cingeva una aiuola vidi una banconota. La presi, mi guardai in giro come se avessi appena commesso un furto e me la misi in tasca. Perché no, pensai, è così tanto tempo che non metto le gambe sotto un tavolo e mi faccio servire una birra decente.

Mi misi così alla ricerca di un locale che non fosse troppo affollato e trovai quello giusto, appena fuori dell'isola pedonale. Spiando dietro la finestra che dava sulla strada notai che era quasi vuoto. Aprii la porta, lasciai uscire tre ragazzotti infagottati e mi infilai nella stanza tiepida. Chiesi se c'era ancora tempo per sedermi e bere qualcosa.

“Come no”

disse il barista, e indicò in direzione dei tavoli vuoti,

“Siediti dove vuoi”

Presi posto al tavolo più vicino, attesi la mia birra che arrivò in pochi istanti e cominciai ad assaporarla. Non ricordavo più quanto fosse buona una buona birra. Restai seduto a bere e ad osservare il bicchiere, quando lo sguardo sfuggì verso il tavolino di fianco a me. Da parecchio tempo non avevo più alcuna attrazione verso le femmine ma questa … insomma, se non fossi stato scottato in passato da troppe brutte esperienze, se non mi fossi sentito un relitto umano forse avrei avuto il coraggio di provare ad appiccicare un qualche tipo di conversazione. Mi limitai ad osservarla di nascosto, cercando di non farmi notare, finché la vidi alzarsi, prendere le sue cose, ed avviarsi verso il banco. Abbassai lo sguardo, quindi non saprei dire come accadde, ma improvvisamente vidi un saccone pieno roteare di fronte a me e colpire il mio bicchiere ancora mezzo pieno. Alzai lo sguardo e vidi il suo viso sgomento. Le sorrisi, trovando il tutto molto divertente e soprattutto contento di poterla guardare. Era una di quelle donne che hanno il potere di renderti felice con uno sguardo. Balbettò qualcosa che interpretai come delle scuse e mentre tenevo alzata la tovaglietta per non far cadere la birra sulle mie gambe lei cercava goffamente di asciugare con i tovagliolini di carta che si trovavano a centro tavola. Si offerse di ripagarmi la birra, ma io pretesi molto di più:
“Se ne ordini due va bene”.

Mi aspettavo un gentile diniego invece la vidi slacciarsi la giacca e sedersi di fronte a me.

Ripensai a come ero arrivato in quel posto, senza nemmeno cercarlo: feci lo sguardo esperto del marinaio navigato e dissi:
“Di sicuro questa è una corrente buona”.

Stavo per essere catturato dal vortice, ma non me ne resi conto.

4 – Ensamble – Allegro con brio

All'avventore disattento M e K potevano sembrare amici di vecchia data, addirittura due fidanzati. Eppure si conoscevano da pochi minuti. E come ridevano, che sguardi si scambiavano, come brillavano i loro occhi. Se qualcuno ancora non crede al colpo di fulmine allora legga cento volte questa storia. Si piacevano, si sentivano a proprio agio insieme. E il fiume scorreva impetuoso e li trascinava lontano.

Il locale chiuse troppo presto, si presero quindi per mano e passeggiarono per le vie deserte, raccontandosi ora le proprie vite e ognuno sentendosi partecipe delle sofferenze dell'altro. Come se fossero stati catturati da una magica sfera si sentivano legati da emozioni, sentimenti ed esperienze simili.

“Sono solo da tanto tempo, K, ma non ho scelto la solitudine. Sono fuggito. Non sono un uomo coraggioso, non sono un uomo forte e mi sono rifiutato di affrontare la realtà ma ho cercato di inventarne un'altra. Eppure sembrava che fosse una soluzione efficace, indolore. No, non è così. La felicità non la si può vivere da soli e non la si può cercare: ti si presenta davanti, inaspettata, e tu devi prenderla subito e non lasciarla sfuggire, perché se la guardi troppo e non la abbracci sparirà.”

“Cercavo una persona, M, una persona sincera. Non chiedo molto vero? Ma sono tutti ingannatori. Tutti sanno raccontarti quanto sei bella, quanto ti amano, ma poi quando serve dimostrarlo fuggono via. Io non credo più a nessuno, troppe volte mi hanno mentito. Non credo più neppure alla verità.”

Le loro mani si strinsero più forte, le loro dita si intrecciarono. Le loro voci si spensero per una battuta, 4/4 di silenzio e di serenità dentro ai loro cuori mentre i loro piedi camminavano vicini calpestando lo stesso marciapiede e le stesse pozzanghere.
Poi un'altra battuta, ancora sorrisi e chiacchiere incessanti, come se avessero dovuto raccontarsi tutto quella sera. E gli occhi di K si illuminarono quando arrivarono di fronte ad un hotel macilento ed ambiguo.

“Forse potremmo conoscerci meglio, non credi? Non ci servono cinque stelle, ma una stanza dove poterci spogliare … e vedere cosa succederà ...”

Le gambe di M cedettero e nello stomaco si creò subbuglio, tirò un profondo respiro e disse:
“Cinque stelle potrebbero essere uno specchio deformante: se ci troveremo bene qui non ci sarà nessun posto dove potremmo trovarci male. Una piccola stella è più che sufficiente”.

Alla reception non chiesero neppure i loro documenti, entrarono nella stanza, chiusero la porta alle loro spalle e non ci fu altro che una sinfonia di due corpi che sembravano fatti per essere uniti, come un puzzle di due pezzi soltanto.

“Sei bella, K, sei una donna meravigliosa. Ti voglio bene. Ti amo”

“Detto da te è diverso, mi mette i brividi. Se me lo dici tu ci credo”.

Ed entrambi pensarono che questo era un sogno, e nel sogno si addormentarono e sognarono nuovamente: lì si incontrarono ancora per non interrompere quell'avventura straordinaria.

Erano anni che non li vedevo dormire con un sorriso sulla bocca.

5 – Seconda voce – Adagio, Mesto

Era stato tutto troppo bello, anche quello che sognai quella notte sembrava superare ogni mia più sfrenata immaginazione. E mi svegliai di colpo, come ci si sveglia dopo un incubo.

Fui presa dalla paura: ancora, K, ancora ci vuoi credere? Quanti ceffoni dovrai ricevere prima di aprire gli occhi ed accettare la realtà? Le cose non vanno mai come dovrebbero o come vorresti. Le persone ti usano se non sei tu ad usarle per prima … mi ha ubriacato di birra e di parole, ha fatto il galantuomo e mi ha fatto vedere quanto un uomo può essere intrigante se ha un obiettivo da raggiungere. E' un altro ingannatore. Qui voleva arrivare e se ho imparato la lezione domattina mi racconterà una valanga di frottole, mi darà magari un altro appuntamento, poi sparirà. Mi sono fatta infinocchiare per l'ennesima volta. Vagavo nuda per la stanza cercando un appiglio per dimostrare a me stessa che mi sbagliavo che il flusso della vita mi aveva finalmente portato sull'isola dove avrei potuto naufragare felice. Guardai la lampadina penzolare dal soffitto, i muri scrostati, il letto che non era altro che una rete con un vecchio materasso buttato sopra e il misero arredamento. Eppure ero stata bene, anche se non era un suite affacciata sul mare ero stata bene. E allora perché avevo paura?

Sentii provenire dalla strada il rumore di un'automobile, mi avvicinai alla finestra e scostai leggermente la tenda, quel tanto che basta per osservare la strada senza vita. Vidi una macchina nera fermarsi proprio sotto di me e una donna uscire frettolosamente dal lato del passeggiero, chiudendo la portiera con violenza. Dall'altra parte sbucò un uomo con un cappello nero come il mezzo da cui era sceso e un cappotto dello stesso colore. La ricorse e la prese per le spalle. Lei si fermò e vidi l'uomo sussurrarle qualche cosa nell'orecchio e lei voltarsi come rasserenata. Poi, un istante dopo urlare delle parole che udii a malapena:
“Sei un bugiardo compulsivo ... Non ti sopporto più, esci dalla mia vita ... Mi ha solo usata!”

e altre cose di questo genere. Poi la donna le si voltò di scatto e con passi decisi camminò lontano da lui. L'uomo la chiamò più volte, sempre meno convinto poi allo stesso modo si voltò, ritornò con passi lenti e con un fare sconsolato verso la macchina, salì, ingranò la marcia e ripartì con una accelerata rabbiosa. Quando l'automobile scomparve lontano nel buio la donna si fermò, si sedette su un gradino di fronte ad un vecchio palazzo. La vidi prendersi il viso tra le mani e piangere.

Sono dei bastardi, questo è quanto. Sono tutti così. Questo pensai. E pensai che ero stata una stupida a farmi trascinare in quella situazione da uno sconosciuto.

Ripresi a vagare per la stanza senza sapere cosa fare quando fui attratta da qualcosa che sbucava dalla tasca del vecchio giaccone di M gettato per terra come tutti i nostri vestiti.

“Doppio sogno”, un libriccino breve dal titolo intrigante: quello che avevo sperimentato quella notte, sogni incastrati nei sogni, ma circondata da una realtà maligna. Ora avevo gli occhi bene aperti e non mi sarei fatta ingannare dai sogni, per quanto profondamente ci fossi finita dentro.

Mi rivestii e stavo per andarmene. Lo guardai un'altra volta e rimasi affascinata dal suo sonno tranquillo, da una faccia che non lasciava trapelare segni di malignità.

Decisi che mi sarei data una seconda chance. Gli scrissi un biglietto e lo appesi alla porta. Se il suo scopo non era una banale scopata natalizia l'avrei scoperto presto. Aprii silenziosamente la porta e sgusciai fuori con il cuore gonfio di angoscia.

6 – Prima voce – Grave, accelerando

Quella mattina aprii gli occhi svegliato da un raggio di sole che filtrava dalle tende che non erano state perfettamente chiuse. Sorrisi e mi lasciai accarezzare dalla luce tiepida. Una mattina d'inverno in cui non avrei potuto chiedere di meglio di essere dov'ero e con chi ero. Senza voltarmi distesi il braccio per accarezzare la sua pelle setosa, lo allungai ancora di più e sotto le mie dita non trovai altro che lenzuola ruvide e fredde. Mi voltai di scatto e lei non c'era! Mi alzai e guardai la stanza vuota, chiamai il suo nome due o tre volte, a bassa voce, senza convinzione. Poi guardai in terra e vidi il mucchio di vestiti che erano stati scaraventati lì in un attimo di passione: vidi solo i miei e il mio libro buttato in un angolo. Ero rimasto solo, avevo perduto in un istante la mia passione e le mie illusioni. Non osai nemmeno raccattare il libro. Mi sentii perduto, il cuore martellava un ritmo cromatico folle, la pelle si bagnò di sudore freddo.

Cosa avevo fatto? Avevo osato bussare ancora alla porta del destino, avevo di nuovo avuto il coraggio di entrare nella porta che i miei sogni avevano lasciato aperta per vedere cosa sarebbe successo. Idiota! Cosa ti aspettavi sarebbe accaduto? Ti avrebbe mollato, subito. A nessuno piace stare con te.

M Salieri mi chiamo, suono bene ma non ho l'estro, mi manca il genio. Ha ascoltato la mia musica, le è piaciuta ma non l'ha affascinata. Mi ha concesso un giro di danza e se ne è andata. Certo che pure io avrei dovuto aspettarmelo. Il mio karma è stato chiaro da sempre: sono destinato a rimanere da solo, hanno paura di me. Non comprendo cosa ci sia di male nel mio volto, nel mio corpo, nelle mie parole e nei miei atteggiamenti, ma le spavento.

Seduto sul letto restai non so quanto tempo con i gomiti sulle ginocchia e la testa appoggiata alle mani. Non sapevo che fare, non volevo tornare alla mia baracca. Ora che avevo scoperchiato la mia solitudine ne avevo terrore. Quando alzai gli occhi vidi il sole già alto specchiarsi nella lurida finestra di quella lurida stanza. Come può essere che soltanto io senta la magia, che soltanto la mia metà senta quanto una persona diventi indispensabile per andare avanti? Cercai di lavarmi, ma era impossibile togliermi la puzza di dosso, puzza di selvatico, di un essere senza qualità. Un animale che poteva al massimo suscitare tenerezza, mai amore.

Mi infilai di malavoglia i vestiti e feci per uscire. Nemmeno io sapevo dove sarei andato. E vidi il biglietto appeso alla porta.

“Questa sera, stesso posto, stessa ora.”

Come sotto l'effetto di un incantesimo fui improvvisamente liberato da ogni torbido pensiero con un colpo di bacchetta magica. Quella donna è una fata, pensai. E mi immaginai di impegni improvvisi, della delicatezza di non svegliarmi, di quanto era stata dolce … di quanto lo è ancora. Ritornai nella camera, raccolsi il libro e pensai che un sogno doppio era da dilettanti, i miei stavano per triplicarsi!

Non sapevo comunque dove andare, ma uscii dall'hotel pronto ad affrontare la città con uno spirito pieno di entusiasmo ed aspettative iperboliche. Un'altra cosa non sapevo: come arrivare a sera senza impazzire.

Talvolta il tempo non rallenta, si ferma completamente.

7 – Prima voce – Larghissimo ... sfumando

Non mi pareva possibile eppure giunse l'ora. Veramente non proprio, mancavano ancora un paio d'ore, ma entrai lo stesso nel magico locale della sera prima: stesso tavolo e stessa birra.

Non sono scaramantico ma talvolta ci si affida a tutto, anche a ciò in cui non si crede. L'attesa uccide, fremevo e temevo: sarebbe venuta?

Non facevo altro che guardare l'orologio appeso dietro il bancone. La lancetta dei secondi non sembrava muoversi più velocemente di quella delle ore. Alla seconda pinta constatai che mancava molto tempo. Il pub era ancora vivo e pieno di gente; fortunatamente avevo la mente troppo occupata per accorgermene.

Provai a leggere ma non riuscivo a concentrarmi sulle parole e dopo quello che sembrò un secolo alzai gli occhi: il cuore iniziò a battere più forte nel constatare che non mancava molto all'ora in cui gli avventori cominciano a sfollare e la barista provvedesse a sistemare i tavoli ... non mancava molto all'ora giusta.

Certamente dopo tanta birra un salto in bagno era necessario, giusto il tempo di sgranchire le gambe e svuotare le viscere. Tornai al tavolo e ripresi ad aspettare. Niente birra, solo gli occhi puntati sulla porta di ingresso. E il bar prese a svuotarsi, sempre più velocemente. E mi ritrovai da solo, con lo stomaco dilaniato e le lacrime che premevano per uscire. Le trattenni. E giunse l'ora della chiusura, mi alzai per pagare e uscii. Ferito a morte, questa volta.

Non avevo più pensieri ma una tempesta di sensazioni terribili che mi laceravano la testa e lo stomaco come stretto nel pugno possente di un gigante malvagio. Mi fermai appena fuori dall'uscita. La strada era quasi deserta, feci appena in tempo a vedere l'ultima automobile che si allontanava. La guardai come se l'avessi già vista. Fece pochi metri e si accostò al marciapiede. Chi mi ascolta non lo crederà, ma si fermò e una vecchia salì sull'automezzo. Era lei! E sono certo che mi vide e mi riconobbe perché voltandosi per un istante i nostri sguardi si incrociarono e quella strega fece un sorriso che potrei definire malvagio.

Non sono forse le tutte le donne degli esseri crudeli? Mi ha illuso dandomi un appuntamento. Mi ha fatto penare tutto il giorno nell'attesa e forse si è pure nascosta da qualche parte per spiarmi e saziare la sua vanità guardando un uomo soffrire per lei.

Guardai in alto nel cielo. Nere nubi stavano coprendo quello che resta di una luna velata dalla tristezza: il vortice mi aveva inghiottito e le acque si chiudevano inesorabili sopra di me.

8 – Seconda voce – Larghissimo ... sfumando

Il tempo si era fermato. Giravo in automobile da mezz'ora e non sapevo più cosa inventarmi per arrivare all'ora stabilita. Senza nemmeno accorgermene mi ritrovai sulla strada del pub. Era ancora troppo presto, ma non sapevo più dove andare. Accostai e scesi. Magari era in anticipo pure lui. Magari anche lui fremeva quanto me ed era già lì. Sarebbe stato un miracolo, avrebbe dimostrato più cose di mille parole. Entrai, guardai lo stanzone per un po', e quando fui certa di non vederlo uscii di nuovo. Peccato, sarebbe stato troppo bello. Decisi di aspettare il suo arrivo seduta in macchina. Non so come ma rimasi con gli occhi fissi sulla porta di ingresso, mi bruciavano dallo sforzo e dal dolore. Non era venuto. Era ormai l'ora di chiusura, troppo tempo dopo l'appuntamento stabilito. Sono tutti così. Maledizione, sempre soffrire per essere umiliati e traditi. Non so perché ma questa volta stavo peggio, mi faceva male, un male terribile. Accesi l'automobile e feci per andarmene quando vidi la mia vecchia zia sul ciglio della strada. E lei vide me, perché mi fece cenno di fermarmi. Mi fermai, mi chiese un passaggio. Non avevo voglia di altro che scaraventarmi sul letto e piangere, ma non potevo dirle di no. Evidentemente la mia voce e il mio viso tradivano le mie emozioni perché la prima cosa che mi disse fu:

“Qualcosa non va'?”

“Nulla, va' tutto bene”

risposi, cercando di parlare con una voce ferma e facendo un movimento che sarebbe dovuto apparire casuale per asciugarmi una lacrima.

“Gli uomini sono difficili, non sono cattivi”

mi disse, ed attaccò con una storia appiccicosa di un tipo che le aveva dato un passaggio la sera prima, mentre io avevo solo voglia di piangere ed urlare.

“E non mi crederai ma l'ho visto mentre salivo in macchina. Ha proprio il viso di una persona sincera ed educata. Veramente un bravo giovanotto. Dovresti conoscere uno così se non vuoi più piangere”

“Senz'altro l'ennesimo bastardo” pensai.